“La tecnologia non è solo nemica… È anche molto amica, permette di fare quello che compete alla tecnica alla macchina, e quello che invece compete alla creatività e all’umano lo lasci al tuo occhio, alla tua sensibilità, alla tua capacità di relazionarti e facilitare la relazione”
Oliviero Rossi
In un’epoca in cui le professioni sembrano non andare oltre l’esecuzione di incarichi assegnati, l’arteterapeuta può farsi interprete attivo, in una realtà in fase di trasformazione profonda, della possibilità di una futura rinascita di un ‘pensiero discorrente‘ (Salvatore Settis, “Architettura e democrazia”), tentando il recupero della dimensione sociale e comunitaria, in cui l’impegno etico può contribuire al pieno esercizio dei diritti civili: diritto alla città, diritto allo studio, diritto alla casa, diritto al benessere, diritto alla natura, diritto alla salute, diritto all’istruzione e diritto alla cultura. Un erculeo sforzo congiunto tale da consentire una prospettiva molteplice, includendo necessariamente: storia, filosofia, etica, estetica, storia dell’arte, architettura, diritto, antropologia, geografia, sociologia ed altro ancora (Salvatore Settis, “Architettura e democrazia”), in cui l’arteterapia può dare certamente un apporto significativo.
Anche l’arteterapia ha avuto momenti in cui ricercare nuovi stimoli in contatto con emergenti bisogni esistenziali, sia nella vita personale di psicoterapeuti, arteterapeuti e delle persone affiancate, che hanno portato a concentrare sul tema altri interessi culturali, scientifici e clinici. (Oliviero Rossi, “Lo sguardo e l’azione”)
L’arteterapia è una modalità di rapporto, di tipo triangolare, che mette in gioco della relazione qualcosa che non solo è possibile cogliere attraverso i più classici canali percettivi, ma che ha anche senso e muove il cambiamento nella misura in cui arriva al vissuto emozionale di chi partecipa e di chi osserva.
Oggi l’arteterapia è una professione riconosciuta, con precise indicazioni sulla formazione e la pratica. Che l’arteterapia si sia affacciata alla ribalta in questo preciso momento storico non sorprende, dato l’interesse crescente per l’arte come mezzo di comunicazione, per il significativo psicologico dei simboli visivi, per la relazione fra creatività e salute e per i metodi alternativi di trattamento e cura. L’umanità sembra aver completato un percorso circolare, tornando a riconoscere l’arte come mezzo importante per esprimere la mente, il corpo e l’anima, intimamente legato alla salute e al benessere. (Cathy A. Malchiodi, “Arteterapia – L’arte che cura”)
L’arte visiva è apprezzata non solo per il suo valore estetico e decorativo o come testimonianza storica, ma anche per l’aiuto che può darci per esprimere e comprendere noi stessi. (Vittorio Gregotti, “Il mestiere di architetto”)
Un punto sostanziale da tenere in considerazione è che il nuovo delle artiterapie non è però solo nell’arte, né semplicemente nell’introduzione di alcuni mediatori artistici all’interno della relazione, ma nella visione della persona umana. L’arte è esperta di salute, può guidarci, attraverso i processi creativi, a cogliere il funzionamento umano e a favorirne il benessere agendo su di essi. Dal momento che l’esperienza artistica possiede una base biologica, prima ancora che sociale, universale e non solo culturale, può essere efficace anche a quel livello che finora sembrava poter essere prerogativa della sola medicina, cioè il livello biologico dell’essere umano.
La prospettiva dalla quale guardiamo alle artiterapie è duplice. Pone in primo piano due elementi: la relazione e la creatività.
Per relazione intendiamo sia quella con l’altro che quella con se stessi, mentre la creatività è considerata come un processo che si rivela nei vari ambiti dell’esistenza, compreso quello primario della relazione.
Questo spiega perché più che lo strumento artistico o arteterapeutico, viene evidenziato il processo creativo con la sua funzione evocatrice e trasformatrice. Nell’argomentare di artiterapie non possiamo prescindere dai concetti di emozione e di trasformazione. Ogni atto creativo implica un processo trasformativo e quest’ultimo è, necessariamente, un processo emozionale: l’emozione stessa è una trasformazione per la quale da uno status neuropsicofisiologico si passa ad un altro.
L’emozione è, pertanto, movimento e in un processo creativo, come in un movimento trasformativo, si produce qualcosa di nuovo. Cogliere e trasformare possono essere considerati due pilastri dell’agire terapeutico.
Sguardi che non colgono e azioni che non trasformano muoiono nello stesso istante in cui nascono.
Il mondo è, in realtà, ciò che noi percepiamo di esso.
La mediazione (nello specifico la mediazione artistica) si pone come una sorta di cuscinetto relazionale.
Il gioco dell’arteterapia è quello di creare occasioni relazionali strutturate in forma triangolare: io, tu e il prodotto delle nostre azioni. Quest’ultimo non è esattamente un oggetto e non è precisamente un nesso, ma è ciò che diventa noi nel momento in cui l’atto percettivo se ne impossessa, permettendo la condivisione del ‘nostro’ prodotto.
Il nuovo, allora, è ciò che è stato modificato all’interno di una relazione, ed è nuovo in quanto certamente diverso da quel che c’era prima.
Il tema, in realtà, consiste nell’introdurre nel gioco della relazione il maggior numero di – o le migliori, le più soddisfacenti – possibilità da giocare nell’incontro con l’altro per poter ritrovare stupore nel proprio essere sè stessi in azione nel mondo e in contatto con le proprie emozioni.
Ciò significa, soprattutto, rinnovarci, ricreare, o creare nuovamente, modulare creativamente il nostro rapporto con il mondo e, nell’ambito dell’arteterapia, offrire al mondo qualcosa che non c’era prima. Ogni volta che compiamo un’azione diversa, mentre interagiamo con l’altro o con i nostri vissuti, introduciamo un elemento nuovo nell’ambiente.
Nell’arteterapia spesso il nuovo coincide con un prodotto, cioè con quell’aspetto della creatività che consiste nel generare qualcosa che vive di vita propria. È certamente un’‘opera’ profondamente personale ma, una volta che si rivela al mondo, diventa altro da sé.
In altre parole, l’arteterapia permette un’operazione realmente ambivalente: da un lato, concepire qualcosa di autenticamente proprio e, dall’altro, lasciare che prenda la sua forma nel mondo. Mentre sono impegnato nell’operazione di lasciare che questo qualcosa prenda la propria forma nel mondo, posso però accorgermi di aver creato qualcosa che è profondamente fatto di me, come un figlio, appunto, ma che, proprio come un figlio, è tutt’altro che me. Riconoscere e separarsi sono elementi di ogni atto creativo.
La mediazione artistica è l’arte di mettere in contatto la persona con le risorse creative, che gli permettono di lasciare nel mondo qualcosa di profondamente proprio e, allo stesso tempo, di potersene separare nel momento in cui questo qualcosa ha fatto il suo ingresso nel mondo di ogni relazione, ovvero della possibilità di abitare la distanza che si stabilisce rispetto al frutto, alle azioni e alle conseguenze del proprio essere nel mondo. (Anna Maria Acocella e Oliviero Rossi, “La nuove arti terapie”)